Papa Giovanni Paolo II La Giovinezza.

Papa Giovanni Paolo II

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PAPI E BEATI - PAPA GIOVANNI PAOLO II - LA GIOVINEZZA

UNA PROFEZIA FOLGORANTE

In mezzo ai tumulti Dio scuote una grande campana. A un Papa slavo, ecco, il trono è preparato. Egli non fuggirà davanti alle spade come l'italiano; ardito come un Dio, fronteggerà le spade: per lui il mondo è fango. Il suo volto irradiato dal sole per i fedeli sarà faro. Lo seguiranno genti, sempre più numerose, verso la luce che Dio abita. Obbediente al suo invito e comando non sarà solo il popolo, ma anche il sole a un suo cenno levandosi, poiché la sua forza è miracolo. Egli già s'avvicina, dispensatore nuovo di energie universali. E nelle vene, per le sue parole, rifluirà il
nostro sangue. Comincerà nei cuori il moto torrenziale della luce divina e l'idea concepita diventerà realtà grazie a lui: tanta forza ha lo spirito, quella forza che occorre a sollevare il mondo del Signore. Ecco venire il Papa slavo, fratello del popolo, ed eccolo versare i balsami del mondo nel nostro seno, mentre una schiera d'angeli con ramoscelli in fiore gli spazza il trono. Questa poesia di Juliusz Slowacki, che per lungo tempo non suscitò un grande interesse, oggi ci riempie di stupore. Scritta durante la Primavera dei Popoli (1848), per l'oscurità dei suoi contenuti, sembrava confermare l'opinione corrente circa la confusione nella quale si trovava in quel periodo il grande poeta, malato e melanconico. Ma ecco che, dopo 150 anni, la misteriosa visione poetica dell'autore di «Re Spirito» (1), così fidente nella potenza di un Papa slavo che avrebbe dovuto essere quasi il difensore di quel mondo «nel dissidio», diviene oggi profezia folgorante. Infatti, il 16 ottobre 1978 è stato eletto un Papa slavo, un Polacco nostro fratello, affettuoso, fedele, fortemente provato figlio della nostra terra. Lo stupore che con la «lieta novella» di quella mite sera d'ottobre ci invase l'animo, ancora oggi non ci abbandona. Momenti magici d'una sera d'ottobre! Ad essi torniamo sempre con la stessa gioia, lieti e fieri, poiché d'un colpo avevano reso reale la chiaroveggente fantasia del poeta e ci imponevano di meditare sulla imperscrutabile volontà ed immensità della grazia divina. E fu il Papa stesso che, nel suo primo Urbi et Orbi, interpretò i nostri pensieri di allora e di ora pronunciando le parole di S. Paolo: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi ed inaccessibili le sue vie!» (Romani 11, 33). Torniamo brevemente a quella storica serata d'ottobre. Quando la fumata bianca si alzò finalmente sulla Cappella Sistina (erano le ore 18,18), la folla immensa che da due giorni gremiva la piazza di S. Pietro esultò di gioia. Contro i muri della antica basilica che nascondeva ancora il volto del nuovo Pastore della Chiesa si abbatté il tuono degli applausi. La guardia svizzera, accompagnata dalla banda e dalla grande bandiera papale, fece il suo ingresso. Erano le ore 18,44 e l'attesa sembrava eterna. Ma ecco: nella loggia centrale della Basilica balena la croce e, nella luce dei riflettori, compare il Cardinale Pericle Felici con il solenne seguito. Pronuncia la rituale formula di promulgazione, di volta in volta interrotta dagli applausi: «Annuntio vobis gaudium magnum, habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Carolum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Wojtyla, qui sibi nomen imposuit Joannem Paulum Secundum». Udendo quel nome esotico (per di più pronunciato in modo perfetto dal porporato), la folla trattiene il respiro... Un papa non-italiano? Un papa straniero? Pape de frontière? Era proprio così. Così come accadde per l'ultima volta nel lontano 1522, quando il cardinale di Tortosa e luogotenente generale di Spagna (e ancor prima professore di Lovanio), l'olandese Adriaan Florensz Dedel, divenne papa con il nome di Adriano VI. La scelta di un non-italiano, l'interruzione di una secolare tradizione ormai diventata quasi legge, stupì tutti. E la meraviglia si fece ancor più grande quando divenne chiaro che questo esotico Wojtyla era un polacco, il metropolita di Cracovia, di cui la stampa non si era mai curata nei suoi pronostici sui papabili. Polacco? Specie gli Italiani erano increduli. Ma ecco, fra la folla passa un brivido d'entusiasmo e già si sente dire: «bene», «benissimo»; in breve tutti gridano: «molto bene!», ammirevolmente concordi sul fatto che finalmente, dopo oltre quattro secoli, uno straniero veniva loro dato come Vescovo di Roma. (1) Juliusz Slowacki, nato nel 1809 e morto nel 1849, insieme con Adam Mickiewicz e Z. Krasinski, forma la triade dei poeti più illustri del Romanticismo polacco. Tra le sue opere, "Re Spirito" ("Król Duch") è la più liricamente realizzata e densa di significati: nel lungo poema in ottave, l'Autore - rifacendosi al mito platonico di Er - immagina che lo spirito dell'eroe si reincarni nella mistica figura di Popiel, capostipite della nobiltà polacca, e quindi, successivamente, nei vari re di Polonia, da Mieczyslaw a Boleslao il Coraggioso, scegliendo i momenti più significativi della storia della nazione e della stessa vicenda personale del poeta, la cui anima si sente profondamente partecipe di quella storia e di quello spirito, destinato da Dio a redimere la Polonia con la potenza del suo canto.

La prima Comunione di Karol Wojtyla

PAPA GIOVANNI PAOLO II LA GIOVINEZZA

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